Perché le persone all’interno di un gruppo di lavoro entrano in conflitto?
Principalmente perché ognuno di noi ha il suo modo di fare le cose, ha le sue esperienze e le sue capacità. Quando ci sono tanti obiettivi, attitudini, personalità diverse, è naturale che si verifichi un conflitto.
Nel migliore dei casi le persone saranno “d’accordo sull’essere in disaccordo”, ma può capitare che decidano di esternare in modo chiaro e forte i loro sentimenti.
Trovarsi a gestire situazioni come queste può non essere semplice, e soprattutto può comportare una cospicua perdita di tempo ed energie. Secondo alcuni studi, il 20-40% della settimana lavorativa di manager e responsabili delle risorse umane viene impiegata nella gestione dei conflitti interni all’azienda o al gruppo di lavoro.
Eppure, se gestiti nel modo corretto, i conflitti possono persino avere effetti positivi sulla produttività aziendale. Nel loro libro Becoming a Conflict Competent Leader, Craig Runde e Tim Flanagan sostengono che le divergenze di opinioni possono fornire importanti indicazioni per mettere in luce i problemi, sperimentare approcci diversi e mettere in pratica soluzioni efficaci.
Alcune aziende si spingono ancora più in là, cercando di promuovere attivamente i conflitti. Ad esempio, ai tempi degli albori di Twitter, il fondatore Jack Dorsey ha assunto due programmatori “anarchici”. Secondo quanto riportato dalla testata Business Insider, ad esempio, stavano in piedi durante gli incontri in cui si stava seduti e viceversa. Sicuramente disturbavano i loro colleghi, ma erano allo stesso tempo parte dello spirito ribelle che ha portato l’azienda al successo.
Per la maggior parte di noi, i conflitti sono un aspetto difficile della vita lavorativa. E se come imprenditori li gestiamo male, o – ancora peggio – non ce ne preoccupiamo affatto, possono divenire una minaccia per l’azienda.
Le conseguenze negative dei conflitti
Non risolvere i conflitti può costare molto caro. Alcuni studi statunitensi valutano un danno derivato intorno ai 350 miliardi di dollari all’anno (quasi 2% del PIL degli Stati Uniti). Certo, la gestione dei conflitti è solo uno dei tanti problemi a cui devono fare fronte le aziende e le organizzazioni, ma è un problema forse non evitabile ma sicuramente gestibile.
I conflitti possono costituire un grave ostacolo per la produttività e per la crescita di una azienda, e i problemi irrisolti sono quasi sempre causa di stress, con effetti collaterali anche rilevanti sulla salute e sul benessere psicofisico, incidendo su affidabilità, puntualità, attenzione nel lavoro.
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Basta che tra due membri di due diversi team impegnati nello stesso progetto si manifesti un disaccordo e il conflitto ben presto si estenderà a tutte le altre persone coinvolte. Anche se il disaccordo parte da due persone che apparentemente non hanno un peso rilevante nelle dinamiche aziendali, puoi star certo che le vibrazioni negative e l’atteggiamento che ne consegue avranno ripercussioni importanti su tutte le persone coinvolte.
Se la situazione degenera fino al punto da spingere il personale a dare le dimissioni, i conseguenti costi in termini di ricerca del personale, assunzione, formazione e ripristino dell’organico saliranno alle stelle. A lungo andare, inoltre, può risentirne pesantemente la reputazione dell’azienda, rendendo ancora più difficile l’assunzione di nuovo personale qualificato.
Tipologie di conflitto
Un conflitto può essere sostanzialmente di due tipi: costruttivo o distruttivo. La differenza dipende dalle dinamiche prevalenti nell’interazione tra le parti coinvolte.
Si parla di conflitto costruttivo quando la comunicazione tra i soggetti è volta a individuare i fattori che accomunano le singole posizioni, in vista di un obiettivo comune.
Si ha invece un conflitto di tipo distruttivo quando la comunicazione è orientata esclusivamente alla competizione, per cui i soggetti tendono ad imporre anziché esporre le proprie idee e opinioni, senza perseguire un obiettivo comune ma solo ed unicamente per dimostrare di avere ragione. In questo caso è evidente che l’ambiente di lavoro ne risenta pesantemente, perché la paura di essere aggrediti o sminuiti inibisce nei soggetti la predisposizione ad esprimersi liberamente, generando sfiducia reciproca, risentimento, frustrazione e stress.
Cause di conflitto
Le cause del conflitto sono principalmente di tipo tecnico-organizzativo o di tipo relazionale.
I conflitti tecnico-organizzativi si verificano quando non vengono assegnati ruoli e mansioni precise ai soggetti del gruppo di lavoro, mentre i conflitti relazionali sono dovuti al diverso modo di rapportarsi con i colleghi, e dipendono da diversità a livello personale (carattere, cultura, esperienze, pregiudizi…), da un uso non corretto degli elementi di comunicazione (critiche, equivoci, scarsa trasparenza…), dall’influenza delle emozioni (rancori, risentimento…) e da diverse motivazioni comportamentali.
Affrontare i conflitti
MindTools ha chiesto ai suoi lettori di suggerire in che modo risolvere i conflitti all’interno di un gruppo di lavoro. Qui sotto sintetizziamo i consigli più interessanti.
Ascoltare e capire la differenza di punti di vista delle persone assieme alla capacità di individuare le “reali” ragioni del conflitto sono forse i compiti più duri ma più rilevanti quanto si tratta di gestione dei conflitti.
“Quando un conflitto dura più di due minuti – dice – molto probabilmente non si tratta dell’unico conflitto irrisolto. La cosa migliore da fare, a mio avviso, è far sedere a un tavolo tutte le parti in causa, individuare, affrontare e risolvere il problema alla radice, per poi fare lo stesso con tutti gli altri conflitti.”
La comunicazione veste chiaramente un ruolo fondante nella soluzione dei conflitti. Individuare i punti condivisi e portarli alla luce può essere il primo passo da cui partire per trovare una soluzione che possa soddisfare tutti. In questo, l’atteggiamento ricopre una parte per nulla secondaria. Non si tratta solo di chi parla, ma anche di chi ascolta! Ascoltare le idee dei propri colleghi, esporre le proprie, e la ricerca di un punto di incontro su ciò che possa essere meglio nell’interesse dell’azienda e del gruppo è un processo possibile solo tramite una comunicazione e un atteggiamento positivi.
PS: se poi qualcuno ha un’idea migliore della tua, prendine atto e collabora per svilupparla insieme. ;)
Infine, ripartire dagli obiettivi è probabilmente la miglior cosa da fare quando la comunicazione si arena e la situazione si fa stagnante. Quando le persone non trovano un accordo sulla strada da seguire, evidenziare gli obiettivi comuni e ripartire da lì può essere la mossa che rimette in moto la comunicazione su di un binario positivo.
Nel 1990 gli psicologi Peter Salovey e John D. Mayer coniarono il termine “Emotional Intelligence”, definendo l’intelligenza emotiva come:
“la capacità di controllare i sentimenti e le emozioni proprie ed altrui, distinguere tra di esse ed utilizzare queste informazioni per guidare i propri pensieri e le proprie azioni.
Daniel Goleman indica sei caratteristiche che contraddistinguono coloro che fanno un buon uso dell’intelligenza emotiva: sono consapevoli di sé (questo permette di produrre risultati, riconoscendo le proprie emozioni e pensieri); riescono a dominare se stessi; sono abili nello scoprire i motivi profondi che spingono all’azione; hanno empatia; sono abili nel socializzare (ovvero sanno stare con gli altri e percepiscono velocemente i movimenti che avvengono tra le persone); possiedono buone capacità decisionali.”
Il buon imprenditore è quindi un leader dotato di tale capacità, che implica essenzialmente auto consapevolezza ed empatia: riuscendo a cogliere lo stato emotivo delle persone, può plasmare quello dell’intera organizzazione, stimolando la libertà di espressione e il confronto costruttivo necessario al naturale sviluppo dell’ambiente di lavoro e, quindi, delle potenzialità dell’azienda.
“…i problemi possono essere risolti! Condividerli e affrontarli renderà il team più forte.”
Fonte: Business Insider
Dal 2001 scrivo per siti internet e blog (passando per quelle che una volta erano le webzine, le community, ecc ecc). Lavoro in proprio come freelance e collaboro con diverse agenzie di comunicazione e ...
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