Diffamazioni su Facebook, come può difendersi la tua azienda

Anche entità giuridiche come aziende, enti o associazioni possono subire reato di diffamazione su Facebook come stabilito dall’art. 595 del codice penale.

Diffamazioni su Facebook, come può difendersi la tua azienda
 

I social media, e Facebook in particolare, offrono a tutti la possibilità di esprimere il proprio parere e le proprie opinioni, applicando blocchi e restrizioni limitatamente ad una serie di argomenti e temi come l’istigazione al suicidio, i contenuti violenti e discriminatori, cyberbullismo ed altre forme di violazione degli Standard della Comunità della piattaforma.

Il controllo di tali violazioni è affidato all’attività dell’algoritmo di Facebook e alle segnalazioni degli utenti.

Tuttavia, esistono moltissime forme meno esplicite di diffamazione su Facebook e un commento o una recensione possono arrecare offesa e danno di immagine a persone ed aziende.

Non soltanto le persone fisiche, ma anche entità giuridiche come aziende, enti o associazioni possono essere considerate parte offesa, come stabilito dall’art. 595 del codice penale a proposito del reato di diffamazione a mezzo Facebook.

Quando la diffamazione è diretta a società e associazioni, infatti, si parla di gruppi di persone aventi personalità giuridica, motivo per cui un’azienda ha diritti e doveri propri, esattamente come qualunque privato cittadino. In questo caso, anziché di lesione dell’onore della persona giuridica si parlerà di danno all’immagine e alla reputazione dell’azienda.

Qual è la differenza tra calunnia, diffamazione e ingiuria?

L’ingiuria è sostanzialmente un insulto rivolto direttamente da una persona a un altra. Nel caso di un’azienda, può trattarsi ad esempio dello sfogo di un cliente, di un dipendente o dell’attacco di un competitor. Si tratta di un reato depenalizzato, che quindi appartiene soltanto alla sfera civile. Nel caso che poi l’ingiuria venga considerata derivata da rabbia giustificata (ad esempio un trattamento palesemente scorretto da parte dell’azienda o uno scambio di insulti alla pari), il reato non è considerato perseguibile. 

La calunnia è invece un’accusa infondata, per cui si asserisce che l’azienda ha commesso un reato senza che questo corrisponda al vero. Ad esempio, accusando un’azienda agricola di caporalato, un locale di violazione delle norme sulla sicurezza, un professionista di evasione fiscale ecc.

Si parla, infine, di diffamazione quando qualcuno diffonde deliberatamente informazioni che ledono la reputazione del brand. Il fatto di diffondere tali informazioni attraverso Facebook può costituire ipotesi di diffamazione “aggravata” in quanto questa modalità di comunicazione ha la capacità potenziale di raggiungere un numero indeterminato di persone, ragion per cui è applicabile l’aggravante del “mezzo di pubblicità”.

La diffamazione tramite Facebook può avvenire:

  • attraverso la pubblicazione di post e commenti su pagine aziendali o gruppi chiusi, in cui il titolare ha facoltà di monitorare, limitare, approvare o rifiutare i contenuti degli utenti;
  • tramite la pubblicazione di commenti, post o contenuti su pagine e spazi sui quali la parte offesa non ha il diritto e la possibilità di scegliere come interfacciarsi con i propri interlocutori.

Reato di diffamazione: quando scatta?

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Per poter parlare di diffamazione su Facebook è necessario stabilirne la portata analizzandone il contenuto e la forma, rapportandolo il messaggio al contesto temporale e alle circostanze in cui è collocato.

Si può configurare l’ipotesi di reato di diffamazione in presenza dei seguenti presupposti:

  • Il messaggio diffamatorio è riferito in modo palese all’azienda, anche nel caso in cui il brand non sia esplicitamente nominato;
  • Sia ravvisabile la precisa intenzione di offendere l’immagine e la reputazione dell’azienda;
  • Il soggetto offeso non abbia avuto la possibilità di intervenire direttamente in propria difesa;
  • Il contenuto venga comunicato a più persone e la sua diffusione risulti incontrollata, violando la privacy del soggetto offeso.

Come difendersi da un caso di diffamazione su Facebook

Se un’azienda ritiene di essere stata diffamata su Facebook, come prima cosa può informare dell’accaduto lo stesso social network, segnalando l’autore della diffamazione.

Ciò può avvenire in tre modi:

  • segnalando il profilo o la pagina dell’autore dell’abuso attraverso la funzione “Ricevi assistenza o segnala il profilo” o “Trova assistenza o segnala la pagina”. Per farlo, bisogna aprire il profilo utente o la pagina e cliccare sulla relativa opzione che compare nel menù a tendina in alto a destra a fianco del pulsante “Messaggio”.
  • Compilando il Modulo per la segnalazione di diffamazione reperibile nel Centro Assistenza di Facebook.
  • Inviando una email a Facebook, possibilmente corredata da screenshot in cui si veda l’abuso, al recapito abuse@facebook.com.

Il nostro consiglio è di utilizzare congiuntamente tutte queste modalità.

Quali azioni penali si possono intraprendere in caso di diffamazione su Facebook?

Il reato di diffamazione, anche online, è disciplinato dal c. 3 art. 595 del codice penale, e in particolare la sentenza numero 24431/2015 della Corte di Cassazione ha evidenziato come la pubblicazione di un commento offensivo su Facebook rientri all’interno del reato di diffamazione aggravato “col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità”, punito con una multa non inferiore ai 516 euro e con la reclusione dai 6 mesi ai 3 anni.

L’azienda diffamata, quindi, può sporgere legittimamente querela, rivolgendosi ad una qualunque stazione dei Carabinieri, alla Polizia Postale o alla Procura della Repubblica del Tribunale competente al proprio luogo di residenza.

Se si sceglie di intraprendere un’azione di questo tipo sarà necessaria la massima precisione nell’indicare chiaramente il contenuto diffamatorio di cui l’azienda è stata oggetto, l’autore (profilo o pagina) e relativo codice ID assegnato da Facebook, seguendo questa procedura. Secondo la Cassazione, inoltre, è indispensabile ai fini della formulazione della querela e della eventuale relativa condanna l’accertamento dell’IP di provenienza del post diffamatorio, in quanto il mancato accertamento dell’indirizzo IP non consente di procedere con il massimo grado di certezza possibile all’attribuzione della responsabilità, in particolare quando per la diffamazione sia stato utilizzato un nickname o un profilo fake.

L’indirizzo IP, ricordiamo, è un codice numerico univoco assegnato ad ogni dispositivo elettronico al momento della sua connessione alla rete, permettendo così di tracciarne il punto di accesso. Non si può riferire all’imputato il contenuto ritenuto diffamatorio in mancanza di un formale riscontro dell’indirizzo IP di provenienza.

Perché si possa parlare di diffamazione, inoltre, bisogna dimostrare la non veridicità del contenuto diffamatorio, avvalendosi di testimoni e fornendo una stampa, una fotografia od uno screenshot del post o del commento incriminato.

A questo vanno aggiunti eventuali dimostrazioni del danno patrimoniale subìto dall’azienda (es. contestazioni o rinunce da parte di clienti, revoche di contratti, richieste di rimborso, o altre prove di mancato guadagno).

L’indagine penale

Il termine di decorrenza per esporre querela è di 3 mesi dall’ipotesi di reatoUna volta avviate le indagini, grazie al tracciamento dell’indirizzo IP, gli inquirenti non avranno difficoltà ad individuare l’autore della diffamazione, anche nel caso sia stato usato un falso profilo. Esistono anche modi per mascherare l’indirizzo IP, ma in genere si tratta di tecniche ormai ampiamente conosciute e aggirabili da Polizia Postale, periti informatici ecc.

Per individuare l’indirizzo IP dell’autore dell’illecito, gli inquirenti chiederanno formalmente a Facebook l’accesso ai server che ospitano il profilo o la pagina su cui è stato commesso l’illecito ed altre eventuali informazioni, cose che in genere, in caso di indagini penali, la direzione del social network concede senza particolari difficoltà.

Il giudizio penale e l’azione civile

Una volta che il Pubblico Ministero ha ravvisato l’ipotesi di reato, l’azione penale procederà d’ufficio fino all’applicazione della pena, senza che l’azienda debba intraprendere altre azioni, a meno che questa non voglia intraprendere un alternativo giudizio civile in forma autonoma. Questa opzione, da verificarsi tramite una consulenza legale specializzata, può dare all’azienda la possibilità di costituirsi parte civile, unicamente per ottenere il risarcimento del danno

Nel caso non sia stato intrapreso un giudizio penale, sarà il giudice civile a dover accertare la sussistenza dell’illecito. 

In questo caso, la necessità di fornire evidenti prove del danno subito è ancora più stringente. Nella situazione in cui l’illecito sia evidente, ma sia difficoltoso quantificare il danno, l’azienda diffamata potrà comunque chiedere un risarcimento “in via equitativa”, ritenuto congruo dal giudice sulla base del caso in oggetto, senza quindi fare riferimento a ogni altro supporto probatorio ritenuto insufficiente o di difficile convalida.

Riassumendo: il giudizio penale parte nel momento in cui si configura l’ipotesi di reato di diffamazione, e procede in modo autonomo spesso con particolare rigore per quanto riguarda i presupposti di responsabilità.

Il giudizio civile, a cui l’azienda può ricorrere per ottenere un risarcimento, costituisce in genere un iter più lungo e costoso, che punta ad una minore responsabilità a fronte del risarcimento richiesto.

È opportuno valutare attentamente le azioni da intraprendere, cercando se possibile di arginare la crisi nel modo più rapido e semplice possibile. Se la reputazione dell’azienda è abbastanza consolidata, spesso saranno gli stessi altri utenti a “blastare” l’autore del messaggio diffamatorio, segnalandolo a loro volta a Facebook e intervenendo direttamente a difesa del buon nome del brand. Nei casi più gravi, qualora il danno all’immagine dell’azienda sia evidente, e a maggior ragione nel caso di ripercussioni economiche derivate dalla diffamazione, sarà possibile avvalersi di quanto stabilito dal codice penale e avviare un procedimento penale ed una eventuale causa civile.

Dal 2001 scrivo per siti internet e blog (passando per quelle che una volta erano le webzine, le community, ecc ecc). Lavoro in proprio come freelance e collaboro con diverse agenzie di comunicazione e ...

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