L’amministratore è legato al condominio attraverso un particolare rapporto di mandato. Ormai questo dice espressamente il codice civile richiamandone la disciplina per quanto non regolamentato nell’art.1129 cc.
Nel rapporto di mandato, l’amministratore deve rispondere ed eseguire la volontà del condominio – che è quella che si forma in assemblea. Ha inoltre poteri propri, che sono le attribuzioni elencate nell’art.1130 del codice civile (e negli altri articoli del codice e delle leggi speciali) e quelle che – eventualmente – gli derivano dal regolamento di condominio.
Specificamente, l’amministratore ha libertà di azione per tutto quanto concerne l’ordinaria gestione condominiale, mentre per le attività straordinarie necessita di una delibera assembleare.
Tuttavia, nell’esercizio dei suoi poteri ordinari, l’amministratore può assumere decisioni che qualche condomino può non condividere o ritenere illegittime. In questo caso il singolo condomino potrà chiedere che l’assemblea si pronunci, valutando l’agire dell’amministratore.
Stabilisce l’articolo 1133 del codice civile:
“I provvedimenti presi dall’amministratore nell’ambito dei suoi poteri sono obbligatori per i condomini. Contro i provvedimenti dell’amministratore è ammesso ricorso all’assemblea, senza pregiudizio del ricorso all’autorità giudiziaria nei casi e nel termine previsti dall’articolo 1137”.
Il primo discrimine è proprio il fatto che l’amministratore agisca all’interno dei propri poteri – e dunque validamente obbligando il condominio. In proposito ha recentemente sancito la Suprema Corte “In tema di condominio negli edifici, il criterio discretivo tra atti di ordinaria amministrazione, rimessi all’iniziativa dell’amministratore nell’esercizio delle proprie funzioni e vincolanti per tutti i condomini ex art. 1133 c.c., ed atti di amministrazione straordinaria, al contrario bisognosi di autorizzazione assembleare per produrre detto effetto, salvo quanto previsto dall’art. 1135, comma 2, c.c., riposa sulla “normalità” dell’atto di gestione rispetto allo scopo dell’utilizzazione e del godimento dei beni comuni, sicché gli atti implicanti spese che, pur dirette alla migliore utilizzazione delle cose comuni o imposte da sopravvenienze normative, comportino, per la loro particolarità e consistenza, un onere economico rilevante, necessitano della delibera dell’assemblea condominiale” (Cass. Civ., sez.2, sent. n.10865 del 25/07/2016).
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Se l’amministratore avrà agito entro i propri poteri, l’assemblea sarà interessata dal singolo condomino per decidere se confermare la decisione dell’amministratore o meno, senza che questo però generi responsabilità in capo all’amministratore. Semplicemente l’assemblea si potrebbe dichiarare non d’accordo sulla scelta fatta e fargliela cambiare. Se invece l’assemblea decidesse di confermare l’operato dell’amministratore, il condomino insoddisfatto potrà – laddove ve ne siano i requisiti – impugnare la relativa delibera ai sensi dell’articolo 1137 del codice civile.
Laddove l’amministratore, al contrario, non abbia agito all’interno dei propri poteri, o otterrà una ratifica da parte dell’assemblea condominiale, oppure sarà responsabile personalmente delle conseguenze che dovessero derivare al condominio per colpa del suo agire.
Avvocato civilista e Presidente del Polo di Diritto Immobiliare. Sopravvissuto ad un'infanzia senza smartphone e tablet, conduco il mio studio legale a tempo pieno e cresco le mie figlie a tempo pieno... ...
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