Parlando di cambio di destinazione d’uso di un bene comune si è soliti fare l’esempio di chi adibisce il cortile condominiale a parcheggio auto.
Prima della riforma mi trovavo a scrivere:
“È altresì lecito che il condominio, con delibera, muti la destinazione del cortile e decida di adibirlo ad area di parcheggio, ma il quorum deliberativo necessario sarà quello dettato dall’articolo 1136, quinto comma, e dunque la maggioranza qualificata che si concretizza in un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio ed i due terzi del valore dell’edificio.” (“Uso del cortile condominiale – posti auto”, in 24oreAvvocato, n.4 – aprile 2010, Il Sole 24 ore, Milano).
Ma c’è da chiedersi se tutto ciò sia ancora valido.
Poiché la riforma del Condominio del 2012 ha inserito nell’impianto codicistico gli articoli 1117-ter e 1117-quater espressamente dedicati alla disciplina attinente la variazione della destinazione d’uso di un bene comune.
Visto che la medesima novella legislativa ha innestato nell’ordinamento giuridico vigente la maggioranza dei quattro quinti, cioè dell’80% dei partecipanti al condominio, che si può anche denominare “unanimità attenuata”.
Infine, date le modalità richieste per l’assunzione di una valida delibera in materia sono particolarmente complesse e strutturate, comprendendo la convocazione dell’assemblea per raccomandata almeno 20 giorni prima, l’affissione della medesima convocazione nei locali di transito del condominio per almeno 30 giorni, un ordine del giorno redatto in un certo modo ed una delibera che dia atto che tutte le formalità sopra descritte siano state effettivamente rispettate; ci si chiede se tutto ciò si applichi davvero alla fattispecie in esame.
Ovvero, la domanda che ci si pone è se per “modifica della destinazione d’uso” si debba/possa intendere la modifica di fatto, come appunto la trasformazione di un cortile in un parcheggio condominiale, oppure qualcosa di più significativo.
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Ora, la locuzione “modifica della destinazione d’uso” può essere assimilata a quella di “variazione d’uso” in materia catastale? Il dubbio è che il legislatore possa aver ritenuto necessaria una maggioranza così significativa solo per i casi in cui l’assemblea decida di porre in essere un sostanziale cambio della destinazione della cosa comune, tanto da richiedere anche una variazione catastale. E tale ipotesi non è insostenibile, se solo si pensa che in ipotesi un appartamento del portiere, soppresso il servizio di portierato, può essere trasformato in locale commerciale e produrre in tal modo reddito; o che il terrazzo condominiale può diventare un piano per l’installazione di pannelli solari fotovoltaici.
In questa ottica, potrebbe acquisirebbe senso l’elevato quorum deliberativo creato ex novo dal legislatore (dunque non l’unanimità dei consensi, perché è necessaria per l’alienazione del bene comune che invece, nell’ipotesi in esame, rimane proprietà comune, ma neanche i due terzi richiesti per mere innovazioni, laddove non sia sufficiente la maggioranza semplice). Gli 801 millesimi richiesti dal legislatore della riforma sono una “idonea quantità” di voti per cambiare in modo estremamente significativo un bene comune, senza farne perdere la disponibilità al condomino dissenziente.
Contro una tale impostazione si può evidenziare il fatto che il legislatore non abbia parlato di “modifica della destinazione d’uso catastale”, bensì di “modifica della destinazione d’uso”… il che rende alquanto suggestiva l’ipotesi appena descritta, ma forse debole nell’argomentazione sul dato letterale. Sempre che si sostenga che il legislatore utilizzi termini precisi…
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Avvocato civilista e Presidente del Polo di Diritto Immobiliare. Sopravvissuto ad un'infanzia senza smartphone e tablet, conduco il mio studio legale a tempo pieno e cresco le mie figlie a tempo pieno... ...
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