Le distanze legali previste dal codice civile o dalle leggi speciali si applicano anche in condominio? Come tutelarsi in caso di violazione delle stesse? Nel bilanciamento di interessi che caratterizza l’equilibrio condominiale, chi bisogna preferire? E soprattutto, chi deve far rispettare le distanze?
Ovviamente chi ritiene di subire un torto dall’edificazione di una costruzione, o dalla posa in opera di un manufatto – sia esso impianto o altro – dapprima si rivolge all’amministratore di condominio. Un po’ per dolersi dell’ingiustizia, un po’ per chiedere tutela, un po’ per tirare le orecchie all’amministratore che con la sua (presunta) negligenza ha consentito ciò, un po’ anche per sfogarsi con qualcuno.
In linea generale tra costruzioni tra loro non aderenti bisogna rispettare il limite minimo di tre metri, mentre in caso di distanze tra manufatti e costruzioni il limite cala a due metri se si parla di cisterne, pozzi o altro, e addirittura a un solo metro se si parla di tubazioni.
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Va però detto che in caso di condominio, la disciplina delle distanze legali dei manufatti si applica solo in quanto compatibile con il concreto stato dei luoghi e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei singoli proprietari. Non opera in caso di installazione di impianti indispensabili per una reale abitabilità delle singole unità immobiliari come la modifica o la creazione di un secondo bagno (Cass. Civ. 12520/2010) o la collocazione di tubi di gas (Cass. Civ. 14822/2014).
A livello di tutela abbiamo due alternative a seconda del tipo di violazione che dobbiamo contrastare:
- miriamo ad ottenere la rimessa in pristino e dunque l’abbattimento dell’opera edificata in violazione delle distanze legali, attività che può essere posta in essere direttamente da ogni singolo condomino che si ritiene leso nel proprio diritto dominicale;
- miriamo al risarcimento del danno, se la violazione è di distanze minime previste da disposizioni che hanno come scopo la tutela di interessi generali urbanistici. L’una azione esclude l’altra (essendo differenti i presupposti).
In caso di azione da presentare contro un soggetto estraneo al condominio, la legittimazione attiva in capo all’amministratore sussiste solo nel caso in cui il danno derivi alle parti comuni dell’edificio.
Nel caso in cui, al contrario, la presunta lesione derivi da un condomino rispetto a uno o più degli altri condomini, l’amministratore potrà intervenire per il rispetto del regolamento condominiale che, in ipotesi, preveda il divieto delle norme sulle distanze o imponga il rispetto di altre disposizioni.
Lo stesso dicasi per la violazione di distanze di luci e vedute rispetto alle altre costruzioni. Per luci si intendono le aperture che hanno la sola funzione di dare luce ed aria al locale, mentre le vedute sono quelle aperture che forniscono possibilità di affaccio da ogni lato. Per quanto attiene le vedute, la distanza minima in caso di affaccio obliquo è di 75 centimetri dal fondo del vicino, mentre in caso di affaccio diretto diventa di 1,5 metri se il fondo vicino non è costruito, fino a 3 metri se il fondo vicino è costruito.
Le distanze legali per le luci sono invece differenti a seconda che l’apertura sia aperta al piano terreno o ad un piano superiore; al piano terreno devono essere ad almeno 2,5 metri da terra, mentre ai piani superiori è prevista un’altezza minima di due metri dal piano. Tuttavia è da notare che se l’apertura è posta nel muro condominiale verso il cortile condominiale, non si applica la disciplina generale delle distanze perchè viene considerata uso lecito della cosa comune ai sensi dell’art.1102 del codice civile (Cass. Civ. 14652/2013).
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Avvocato civilista e Presidente del Polo di Diritto Immobiliare. Sopravvissuto ad un'infanzia senza smartphone e tablet, conduco il mio studio legale a tempo pieno e cresco le mie figlie a tempo pieno... ...
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