La Cassazione Civile, con la sentenza a Sezioni Unite n. 28972 del 17.12.2020, si è pronunciata in ordine alla questione inerente la natura del “diritto di uso esclusivo sui beni comuni” sollevata dall’ordinanza n. 31420 del 02.12.2019.
Il dubbio sollevato dall’ordinanza 31420 del 2019
La questione sollevata a dicembre del 2019 è piuttosto complessa e viene riassunta nel seguente estratto della sentenza:
“Invero, la questione, cui occorre dare soluzione per decidere i primi quattro motivi di ricorso, circa la natura, i limiti e la opponibilità del diritto di uso esclusivo su beni comuni, involge evidentemente il più classico problema della utilizzabilità delle obbligazioni come espressioni di autonomia privata volte a regolare le modalità di esercizio dei diritti reali, opponendosi dai teorici che la libertà negoziale possa conformare unicamente i rapporti di debito, e non anche le situazioni reali: tale severa conclusione trova il suo fondamento sempre nel tradizionale principio del numerus clausus dei diritti reali, il quale si reputa ispirato da una esigenza di ordine pubblico, restando riservata al legislatore la facoltà di dar vita a nuove figure che arricchiscano i “tipi” reali normativi”.
Cessione di un bene comune
In occasione della nascita del condominio (primo frazionamento/atto pilota) è possibile destinare in proprietà esclusiva ad uno dei condomini una parte per sua natura comune; ciò in espressa deroga all’articolo 1117 c.c. il quale – per l’appunto – prevede che tutte le parti destinate all’uso comune siano comuni salvo che il contrario non sia disposto dal titolo costitutivo del fabbricato.
Una parte comune può quindi essere destinata in proprietà esclusiva di uno dei condomini; ciò avviene in occasione del primo frazionamento o mediante una delibera assunta all’unanimità. Potrebbe accadere, ad esempio, che il costruttore si riservi la proprietà del tetto o che i condomini, all’unanimità, vendano ad un terzo i locali portineria ormai inutilizzati.
Uso esclusivo di un bene comune
Il problema affrontato dalla Corte di Cassazione riguarda invece l’ipotesi in cui un bene comune venga riservato in uso esclusivo in favore di uno dei proprietari; semplificando all’estremo il dubbio sollevato nell’ordinanza 31420/2019 possiamo distinguere le seguenti alternative:
- obbligazione personale (legata quindi al soggetto che beneficia e non automaticamente trasmissibile);
- diritto d’uso ex art. 1021 c.c. (non si può cedere né dare in locazione);
- diritto reale (trasferibile da un soggetto ad un altro).
Quale fra questi tre inquadramenti è quello corretto?
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Il principio affermato
Il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 28972/2020 è il seguente:
“In definitiva, va affermato il principio che segue: “La pattuizione avente ad oggetto la creazione del c.d. “diritto reale di uso esclusivo” su una porzione di cortile condominiale, costituente come tale parte comune dell’edificio, mirando alla creazione di una figura atipica di diritto reale limitato, tale da incidere, privandolo di concreto contenuto, sul nucleo essenziale del diritto dei condomini di uso paritario della cosa comune, sancito dall’art. 1102 c.c., è preclusa dal principio, insito nel sistema codicistico, del numerus clausus dei diritti reali e della tipicità di essi”.
I giudici di legittimità ribadiscono il carattere di “numero chiuso” dei diritti reali e l’impossibilità di crearne uno nuovo identificato quale “diritto reale di uso esclusivo” dei beni comuni.
Quali sono le conseguenze pratiche?
Affermato il principio, resta il problema relativo alle situazioni concrete che l’operatore del diritto deve affrontare. Nelle ultime due pagine (di ventotto) della pronuncia in commento, i Giudici di Legittimità invitano ad interpretare la singola clausola negoziale per accertare quale fosse la volontà delle parti quando hanno stabilito la costituzione di un diritto d’uso esclusivo; vengono quindi illustrati tre diversi esempi.
- La clausola potrebbe essere contenuta nel regolamento condominiale contrattuale e potrebbe quindi dare origine ad un rapporto di natura pertinenziale a favore di una proprietà esclusiva ed avente ad oggetto un bene altrimenti comune.
- Si potrebbe configurare un diritto d’uso ex art. 1021 c.c. (non si può cedere né dare in locazione).
- La clausola potrebbe infine essere intesa quale obbligazione personale (legata quindi al soggetto che ne beneficia e non automaticamente trasmissibile).
Svolte le riflessioni conseguenti alla pronuncia della Corte di Cassazione, voglio chiudere con alcune mie conclusioni.
- Se devo costituire un condominio o redigere un regolamento contrattuale e ritengo riservare parti per loro natura comune in proprietà ad uno o più condomini, è opportuno, con il supporto di un professionista, procedere ad un chiaro trasferimento (o ad una chiara riserva) della proprietà.
- Se dovesse sorgere una discussione con riferimento ad una clausola contenuta nell’atto di un condomino o in un regolamento contrattuale, consiglio di richiedere la consulenza di un professionista. L’amministratore rimetterà quindi la questione all’assemblea la quale, con delibera a maggioranza, potrà procedere in tal senso.
- Ricordo infine che, di fronte all’azione giudiziale del condominio, il condomino che avesse “acquisito”, anche senza titolo, una proprietà comune, potrebbe promuovere domanda di usucapione per far dichiarare la proprietà privata del bene originariamente comune.
Ideatore di Condominio Semplice (aggiornamento sintetico e concreto in ambito condominiale). Sono un avvocato e mi occupo esclusivamente ...
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